La gravità degli avvenimenti accaduti il 14 agosto ha causato problemi per quanto riguarda la viabilità quotidiana e la condizione degli abitanti della zona rossa, ma anche le imprese che hanno sede nella Valpolcevera e nei quartieri limitrofi di Sampierdarena e Cornigliano hanno risentito del malessere generale generato dal crollo.
Infatti, le numerose imprese tra cui l’AMIU (Azienda Multiservizi e d’Igiene Urbana) e l’apparato industriale della zona di Campi a Genova (sotto il versante occidentale del ponte) - il quale vede la presenza di numerose catene tra cui Ikea, Castorama, Decathlon, Leroy Merlin, Maison du Monde e Unieuro - ha subìto numerosi danni in termini di fatturato e afflusso di clientela.
A queste zone vanno ad aggiungersi anche tutti i quartieri che si trovano nell’entroterra, come Pontedecimo, Rivarolo, Certosa e Ceranesi, che sono rimasti letteralmente isolati in seguito al crollo. “Da qui non passa più nessuno”, ripetono i commercianti delle zone interessate, “nessuno sa che siamo aperti e che la viabilità è stata riaperta al pubblico”, ribadiscono ancora in numerosi video apparsi sul web. Ed è proprio così, i cittadini pensavano che la zona fosse off-limits e di conseguenza si sono spostati verso altre zone meno "scombussolate" per fare i loro acquisti. Solo dopo pochi giorni dalla tragedia, le aziende hanno riscontrato un calo del flusso delle presenze, il quale si aggira intorno al 40 - 60% e non sembra voler migliorare. “Ci hanno tagliato fuori”, ribadisce a gran voce il direttore di Leroy Merlin che fa le veci anche delle altre grandi catene, “la gente non viene ed il messaggio che sta passando è che la zona non sia accessibile”.
PH. Christine M. Zonza
Sampierdarena blindata
Anche i commercianti di Sampierdarena denunciano il calo dei visitatori tra le strade del quartiere. Via Cantore, la via principale che si estende lungo tutto il quartiere di Sampierdarena, conosciuta anche per essere costantemente interessata dal traffico, è deserta. Un sogno per alcuni passanti, ma per i proprietari delle tante attività commerciali è solo sinonimo di penuria. Qui, però, la motivazione è diversa: nel caso della zona di Campi, le macerie avevano invaso la strada e la ferrovia e per questo motivo era stata chiusa, ovviamente, la viabilità. Per quanto riguarda Sampierdarena, invece, l’obbligo di modifica della viabilità cittadina proveniente dall’autostrada e dal ponente della città costringe il traffico ad un dirottamento sulla Strada Guido Rossa che, come già detto, collega il casello di Genova Sestri Ponente Aeroporto e la zona del porto, tramite Lungomare Canepa. Questa modifica ha causato la chiusura della rotonda che da Lungomare Canepa permetteva alla circolazione di potersi addentrare nel quartiere, mentre ora chi viene da Ponente è privo di un accesso diretto al quartiere.
Se prima l’eccessiva quantità di traffico nella zona impediva ai cittadini di fermarsi, ora è tutto il contrario: il calo degli affari si aggira intorno al 30% e più di una decina di attività sono state costrette a chiudere definitivamente. In sostanza, come molti sostengono, Sampierdarena ha pagato il prezzo per permettere alla viabilità di Genova di scorrere in modo pressoché normale.
Il Porto chiude l’anno in negativo
Anche nel caso del Porto di Genova il bilancio non è positivo. Considerato uno dei porti più importanti in termini di crescita a livello europeo e principale scalo crocieristico del Mediterraneo, da metà agosto ha iniziato ad andare in negativo. Secondo il viceministro alle infrastrutture, Edoardo Rixi, l’ammontare delle perdite economiche del Porto, in seguito al crollo del Ponte Morandi, è di circa un milione di euro. La percentuale che, a fine dicembre, definisce le sorti dell’attività portuale del 2018 è di -2%, esito negativo limitato dalla presenza massiccia dell’export che ha registrato un +6% (sempre nello stesso mese).
Attività portuale è soprattutto sinonimo di commercio e scambio di prodotti. In seguito al crollo del Viadotto Polcevera si è interrotto il principale mezzo di comunicazione tra i due porti principali della città e, quindi, i collegamenti tra il bacino portuale di Genova e quello di Voltri-Prà. La comunicazione è fondamentale per i due colossi genovesi, che vedono l’entrata e l’uscita giornaliera di più di 4 mila container. Le principali reti utilizzate per metterli in relazione sono la rete autostradale e quella ferroviaria. Nel periodo immediatamente successivo al crollo, quando ancora la Guido Rossa non era stata terminata, i costi di trasporto sono notevolmente aumentati. I camion provenienti da Ponente erano costretti a percorrere un centinaio di chilometri in più, a causa della deviazione autostradale che li obbligava a percorrere la A26 e successivamente la A7 o, viceversa, per poter passare da un porto all’altro. Non aumentava, quindi, solo il chilometraggio percorso e la quantità di benzina utilizzata, ma anche la retribuzione dei turni di lavoro dei camionisti. Inoltre, l’unico modo per facilitare i collegamenti era lavorare di notte, quando il traffico cittadino si era pressoché smaltito, per questo le autorità portuali hanno autorizzato i terminal ad aprire in notturna, permettendo il regolare arrivo dei tir. L’unico problema: l’aumento dei costi. Il Vte ha stimato, per quanto riguarda il traffico notturno, una spesa tra i due e i tre milioni di euro in più all’anno, che sarebbe stata, naturalmente, a carico della società. Nonostante tutti questi fattori negativi, non sono stati registrati cali in termini di numero di container giornalieri.
Genova è uno porto di scalo che dal 2008 è cresciuto del 65% (a luglio 2018 i traffici di Genova erano in attivo del 7%) ma, nonostante il barlume di speranza, dello scorso novembre, in termini di livelli di import ed export (rispettivamente 9% e 8,96%), il crollo del ponte ha avuto ripercussioni evidenti che hanno portato a chiudere, per la prima volta, il bilancio in negativo. L’unico modo per risollevarsi, secondo Giampaolo Botta, il direttore generale di Spediporto, il quale si mostra preoccupato per i numerosi scioperi che potrebbero susseguirsi in questo inizio anno 2019, è “tornare ad attrarre investimenti dall’estero attraverso una moderna politica di semplificazione al business”.
Gli aiuti alle imprese
I due commissari Giovanni Toti e Marco Bucci, incaricati di gestire le emergenze scaturite dal crollo del viadotto e la sua conseguente ricostruzione, hanno siglato gli accordi (Decreto Genova e Legge di Stabilità) che formalizzano le linee direttrici da seguire per stanziare contributi, agevolazioni fiscali e tutto ciò che riguarda il sostegno alle imprese e ai lavoratori danneggiati dal crollo. Oltre ad aver definito la zona nera (quella della demolizione) e la zona rossa, cioè quella che include le case degli sfollati, i due commissari per l’emergenza e la ricostruzione hanno definito, firmando, le misure con cui verranno risarcite le aziende che hanno subìto danni diretti o indiretti (zona arancione) ed il perimetro della zona franca urbana, cioè l’insieme di aziende, di diverse tipologie, che verranno risarcite tramite il sistema di credito d’imposta e d’incentivi statali. Essa si estende fino all’alta Valpolcevera, coinvolgendo anche i quartieri del Medio Ponente e la zona del Porto Antico. A questi bisogna aggiungere il Centro Est ed il Ponente, più cinque comuni dell’entroterra: Ceranesi, Campomorone, Sant’Olcese, Mignanego e Serra Riccò. Non ultime, verranno specificate le zone in cui verrà applicata la cassa integrazione in deroga per tutte le aziende costrette a cessare o limitare la propria attività, ed anche un risarcimento a coloro che hanno la partita Iva.
Il crollo frena l’occupazione
Fattore da non da dimenticare è, sicuramente, l’occupazione. Il 2018 stava promettendo bene in termini di crescita occupazionale, lasciandosi alle spalle i numeri degli anni precedenti (tra il 2010 e il 2017 sono stati persi circa 21 mila posti di lavoro, passando da 624 a 603 mila occupati), i quali avevano portato il tasso di disoccupazione a sfiorare il 10%. Il ponte ed il suo crollo, non tardano, ancora una volta, ad essere protagonisti. Secondo i dati Istat relativi al terzo trimestre del 2018 (luglio-settembre), è evidente che il numero di assunzioni, rispetto allo stesso periodo nel 2017, è calato dell’11,6%: questo dato, tradotto in termini di contratti, corrisponde a più di 5 mila posti di lavoro.
La vicenda del ponte, in sostanza, non ha solo causato la morte di 43 persone, il dramma degli sfollati e messo in ginocchio l’economia di alcuni quartieri, ma ha anche rimesso in discussione tutto l’apparato occupazionale ligure.
Anche i commercianti di Sampierdarena denunciano il calo dei visitatori tra le strade del quartiere. Via Cantore, la via principale che si estende lungo tutto il quartiere di Sampierdarena, conosciuta anche per essere costantemente interessata dal traffico, è deserta. Un sogno per alcuni passanti, ma per i proprietari delle tante attività commerciali è solo sinonimo di penuria. Qui, però, la motivazione è diversa: nel caso della zona di Campi, le macerie avevano invaso la strada e la ferrovia e per questo motivo era stata chiusa, ovviamente, la viabilità. Per quanto riguarda Sampierdarena, invece, l’obbligo di modifica della viabilità cittadina proveniente dall’autostrada e dal ponente della città costringe il traffico ad un dirottamento sulla Strada Guido Rossa che, come già detto, collega il casello di Genova Sestri Ponente Aeroporto e la zona del porto, tramite Lungomare Canepa. Questa modifica ha causato la chiusura della rotonda che da Lungomare Canepa permetteva alla circolazione di potersi addentrare nel quartiere, mentre ora chi viene da Ponente è privo di un accesso diretto al quartiere.
Se prima l’eccessiva quantità di traffico nella zona impediva ai cittadini di fermarsi, ora è tutto il contrario: il calo degli affari si aggira intorno al 30% e più di una decina di attività sono state costrette a chiudere definitivamente. In sostanza, come molti sostengono, Sampierdarena ha pagato il prezzo per permettere alla viabilità di Genova di scorrere in modo pressoché normale.
Il Porto chiude l’anno in negativo
Anche nel caso del Porto di Genova il bilancio non è positivo. Considerato uno dei porti più importanti in termini di crescita a livello europeo e principale scalo crocieristico del Mediterraneo, da metà agosto ha iniziato ad andare in negativo. Secondo il viceministro alle infrastrutture, Edoardo Rixi, l’ammontare delle perdite economiche del Porto, in seguito al crollo del Ponte Morandi, è di circa un milione di euro. La percentuale che, a fine dicembre, definisce le sorti dell’attività portuale del 2018 è di -2%, esito negativo limitato dalla presenza massiccia dell’export che ha registrato un +6% (sempre nello stesso mese).
Attività portuale è soprattutto sinonimo di commercio e scambio di prodotti. In seguito al crollo del Viadotto Polcevera si è interrotto il principale mezzo di comunicazione tra i due porti principali della città e, quindi, i collegamenti tra il bacino portuale di Genova e quello di Voltri-Prà. La comunicazione è fondamentale per i due colossi genovesi, che vedono l’entrata e l’uscita giornaliera di più di 4 mila container. Le principali reti utilizzate per metterli in relazione sono la rete autostradale e quella ferroviaria. Nel periodo immediatamente successivo al crollo, quando ancora la Guido Rossa non era stata terminata, i costi di trasporto sono notevolmente aumentati. I camion provenienti da Ponente erano costretti a percorrere un centinaio di chilometri in più, a causa della deviazione autostradale che li obbligava a percorrere la A26 e successivamente la A7 o, viceversa, per poter passare da un porto all’altro. Non aumentava, quindi, solo il chilometraggio percorso e la quantità di benzina utilizzata, ma anche la retribuzione dei turni di lavoro dei camionisti. Inoltre, l’unico modo per facilitare i collegamenti era lavorare di notte, quando il traffico cittadino si era pressoché smaltito, per questo le autorità portuali hanno autorizzato i terminal ad aprire in notturna, permettendo il regolare arrivo dei tir. L’unico problema: l’aumento dei costi. Il Vte ha stimato, per quanto riguarda il traffico notturno, una spesa tra i due e i tre milioni di euro in più all’anno, che sarebbe stata, naturalmente, a carico della società. Nonostante tutti questi fattori negativi, non sono stati registrati cali in termini di numero di container giornalieri.
Genova è uno porto di scalo che dal 2008 è cresciuto del 65% (a luglio 2018 i traffici di Genova erano in attivo del 7%) ma, nonostante il barlume di speranza, dello scorso novembre, in termini di livelli di import ed export (rispettivamente 9% e 8,96%), il crollo del ponte ha avuto ripercussioni evidenti che hanno portato a chiudere, per la prima volta, il bilancio in negativo. L’unico modo per risollevarsi, secondo Giampaolo Botta, il direttore generale di Spediporto, il quale si mostra preoccupato per i numerosi scioperi che potrebbero susseguirsi in questo inizio anno 2019, è “tornare ad attrarre investimenti dall’estero attraverso una moderna politica di semplificazione al business”.
Gli aiuti alle imprese
I due commissari Giovanni Toti e Marco Bucci, incaricati di gestire le emergenze scaturite dal crollo del viadotto e la sua conseguente ricostruzione, hanno siglato gli accordi (Decreto Genova e Legge di Stabilità) che formalizzano le linee direttrici da seguire per stanziare contributi, agevolazioni fiscali e tutto ciò che riguarda il sostegno alle imprese e ai lavoratori danneggiati dal crollo. Oltre ad aver definito la zona nera (quella della demolizione) e la zona rossa, cioè quella che include le case degli sfollati, i due commissari per l’emergenza e la ricostruzione hanno definito, firmando, le misure con cui verranno risarcite le aziende che hanno subìto danni diretti o indiretti (zona arancione) ed il perimetro della zona franca urbana, cioè l’insieme di aziende, di diverse tipologie, che verranno risarcite tramite il sistema di credito d’imposta e d’incentivi statali. Essa si estende fino all’alta Valpolcevera, coinvolgendo anche i quartieri del Medio Ponente e la zona del Porto Antico. A questi bisogna aggiungere il Centro Est ed il Ponente, più cinque comuni dell’entroterra: Ceranesi, Campomorone, Sant’Olcese, Mignanego e Serra Riccò. Non ultime, verranno specificate le zone in cui verrà applicata la cassa integrazione in deroga per tutte le aziende costrette a cessare o limitare la propria attività, ed anche un risarcimento a coloro che hanno la partita Iva.
Il crollo frena l’occupazione
Fattore da non da dimenticare è, sicuramente, l’occupazione. Il 2018 stava promettendo bene in termini di crescita occupazionale, lasciandosi alle spalle i numeri degli anni precedenti (tra il 2010 e il 2017 sono stati persi circa 21 mila posti di lavoro, passando da 624 a 603 mila occupati), i quali avevano portato il tasso di disoccupazione a sfiorare il 10%. Il ponte ed il suo crollo, non tardano, ancora una volta, ad essere protagonisti. Secondo i dati Istat relativi al terzo trimestre del 2018 (luglio-settembre), è evidente che il numero di assunzioni, rispetto allo stesso periodo nel 2017, è calato dell’11,6%: questo dato, tradotto in termini di contratti, corrisponde a più di 5 mila posti di lavoro.
La vicenda del ponte, in sostanza, non ha solo causato la morte di 43 persone, il dramma degli sfollati e messo in ginocchio l’economia di alcuni quartieri, ma ha anche rimesso in discussione tutto l’apparato occupazionale ligure.