La storia
Per risalire alla nascita del ponte Morandi bisogna tornare indietro nel tempo di più di 55 anni. L’ANAS (Ente nazionale per le strade) nel 1959 bandì un concorso per la progettazione e costruzione di un viadotto che collegasse la futura autostrada A10 (Genova-Savona) e la A7 (Genova-Milano). Tra gli appaltatori in gara vi era la Società Italiana per Condotte D’Acqua, la quale richiese la partecipazione di Riccardo Morandi, un ingegnere romano nato nel 1927 nella capitale italiana. La più grande sfida era individuare un progetto che fosse allo stesso tempo innovativo e che avesse un esiguo impatto ambientale, in quanto era necessario trovare un compromesso tra il nuovo ponte e il fiume Polcevera, le aree urbane di Sampierdarena e Cornigliano e le ferrovie, già esistenti in precedenza. L’idea di Morandi, già sperimentata in altre zone del mondo, rispecchiava queste caratteristiche, in quanto il suo progetto non avrebbe ingombrato eccessivamente, con i piloni di sostenimento, la superficie sottostante il futuro viadotto. La sua proposta vinse l’appalto e tra il 1963 e il 1967 la Società Italiana Condotte D’Acqua fu la responsabile della costruzione del nuovo collegamento autostradale. Il 4 settembre del 1967, venne inaugurato il Viadotto Polcevera, o Ponte Morandi, dall’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.
Per risalire alla nascita del ponte Morandi bisogna tornare indietro nel tempo di più di 55 anni. L’ANAS (Ente nazionale per le strade) nel 1959 bandì un concorso per la progettazione e costruzione di un viadotto che collegasse la futura autostrada A10 (Genova-Savona) e la A7 (Genova-Milano). Tra gli appaltatori in gara vi era la Società Italiana per Condotte D’Acqua, la quale richiese la partecipazione di Riccardo Morandi, un ingegnere romano nato nel 1927 nella capitale italiana. La più grande sfida era individuare un progetto che fosse allo stesso tempo innovativo e che avesse un esiguo impatto ambientale, in quanto era necessario trovare un compromesso tra il nuovo ponte e il fiume Polcevera, le aree urbane di Sampierdarena e Cornigliano e le ferrovie, già esistenti in precedenza. L’idea di Morandi, già sperimentata in altre zone del mondo, rispecchiava queste caratteristiche, in quanto il suo progetto non avrebbe ingombrato eccessivamente, con i piloni di sostenimento, la superficie sottostante il futuro viadotto. La sua proposta vinse l’appalto e tra il 1963 e il 1967 la Società Italiana Condotte D’Acqua fu la responsabile della costruzione del nuovo collegamento autostradale. Il 4 settembre del 1967, venne inaugurato il Viadotto Polcevera, o Ponte Morandi, dall’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.
Le caratteristiche
Il Ponte Morandi è una struttura in calcestruzzo armato, meglio conosciuto come cemento armato, lunga 1.182 metri. Quest’opera architettonica, molto innovativa, permetteva di ospitare una careggiata di 18 metri (e quindi quattro corsie, due per senso di marcia) con una campata massima di 210 metri tra i piloni ed un’altezza media di circa 45 metri, mentre le sommità degli stralli dei piloni raggiungevano i 90 metri. L’impalcato, cioè il sistema delle strutture di sostegno del piano stradale di un ponte, invece, è stato costruito utilizzando il calcestruzzo armato precompresso, un brevetto dell’ingegner Morandi che permetteva al calcestruzzo di migliorare la propria resistenza alla trazione tramite una tecnica di lavorazione specifica, e che quindi sarebbe risultata più resistente ed adatta all’imponenza della struttura, rispetto all’ordinario calcestruzzo armato. Quest’ultimo venne però utilizzato per costruire i piloni del ponte, i quali, non avendo subìto questa lavorazione aggiuntiva, non risultavano particolarmente resistenti alla trazione, come nel caso del manto stradale. |
La copertina de La Domenica del Corriere del 1º marzo 1964, riguardo la costruzione del ponte Morandi, suscitò grande scalpore.
|
La peculiarità del progetto di Morandi, però, risiedeva nella tecnica di realizzazione degli stralli del ponte, cioè i tiranti che partono dalla cima dei piloni e che sono fissati alla struttura. Generalmente sono d’acciaio, materiale resistente alla trazione. Gli stralli del Viadotto Polcevera, invece, sono stati realizzati in acciaio e rivestiti di calcestruzzo armato precompresso; venne usata una combinazione di materiali che reagisce particolarmente bene alla pressione di forze convergenti, cioè la trazione.
Questa tecnica rivoluzionaria era già stata usata da Morandi in precedenza, in particolare all’occasione della costruzione del ponte sulla baia di Maracaibo, in Venezuela, inaugurato nel 1962, tre anni dopo che l’ingegnere vinse il bando per la costruzione del Viadotto Polcevera.
I lavori di manutenzione
La tecnica rivoluzionaria di Morandi, però, si è rivelata insufficiente a sostenere l’inquinamento industriale e la salsedine, che negli anni a venire avrebbe iniziato a causare la corrosione prematura degli stralli. Infatti, già dopo pochi anni dall’inaugurazione, il ponte ha iniziato a manifestare problemi strutturali e di invecchiamento precoce, soprattutto per quanto riguarda i materiali utilizzati. Tra gli anni 70 e 80 del Novecento, sia la brezza marina che i fumi corrosivi delle acciaierie di Cornigliano hanno iniziato a destare preoccupazione in quanto stavano corrodendo i materiali a vista del viadotto. Per questo, lo stesso Morandi aveva ritenuto necessario attuare un piano di manutenzione mirato ad alcune zone particolarmente interessate dal logoramento.
Un altro elemento fondamentale da tenere in considerazione per quando riguarda il deterioramento della struttura è, sicuramente, il traffico. Gli automobilisti che transitavano sul viadotto avevano raggiunto i 25,5 milioni l’anno nel 2009, traffico che, secondo lo studio della Società Autostrade, era quadruplicato rispetto al trentennio precedente e che non avrebbe cessato di aumentare. La quantità di vetture sul ponte, la quale causava interminabili code quotidiane - soprattutto tra il bivio Genova Ovest e la rampa di collegamento con la A7 – avrebbe negli anni sovraccaricato la struttura, rendendola più sensibile alle minime sollecitazioni.
Le continue e sempre più frequenti manutenzioni, diventate quasi quotidiane, gravavano indubbiamente anche sui costi gestionali. Per questo, in molti ritenevano che sarebbe stato meglio demolirlo e sostituirlo con una struttura alternativa, piuttosto che continuare ad investire denaro nella manutenzione giornaliera. Ad esempio, nel 2006, un architetto spagnolo, propose la distruzione e la ricostruzione dell’infrastruttura interamente in acciaio, ma la proposta non venne accolta, soprattutto a causa delle conseguenze che avrebbe comportato la chiusura della tratta per la viabilità.
Per quanto riguarda gli interventi di manutenzione effettuati negli anni, si può notare che negli anni Novanta gli stralli della torre opposta a quella crollata erano stati rinforzati con strutture – dei tiranti – in acciaio. Lo stesso trattamento era stato riservato alla pila 9 (quella crollata ad agosto) e alla 10 ed erano stati stanziati, per questa opera, ben 20 milioni di euro. Il progetto di Autostrade per l’Italia era già stato approvato dal ministero nel 2016 e, a questo proposito, era già stato installato un carroponte per permettere interventi più rapidi ed efficaci sul viadotto.
Critiche e riflessioni
Le critiche non tardarono ad arrivare. Alcuni si erano interrogati sulla precoce obsolescenza delle strutture ed avevano, ovviamente, dedotto che, se dopo solo due decenni dalla costruzione, la situazione dell’infrastruttura era già precaria, qualcosa era andato storto. Tutti sanno che la vita utile del cemento armato è di almeno 50 anni e che, quindi, il ponte Morandi non avrebbe dovuto subire fin da subito manutenzioni così frequenti. Si è quindi giunti alla conclusione che la novità inventata da Morandi era, in realtà, un mero fallimento e che, inoltre, sarebbe stata proprio la sua tecnologia ad accelerare il processo di decadimento.
Questa tecnica rivoluzionaria era già stata usata da Morandi in precedenza, in particolare all’occasione della costruzione del ponte sulla baia di Maracaibo, in Venezuela, inaugurato nel 1962, tre anni dopo che l’ingegnere vinse il bando per la costruzione del Viadotto Polcevera.
I lavori di manutenzione
La tecnica rivoluzionaria di Morandi, però, si è rivelata insufficiente a sostenere l’inquinamento industriale e la salsedine, che negli anni a venire avrebbe iniziato a causare la corrosione prematura degli stralli. Infatti, già dopo pochi anni dall’inaugurazione, il ponte ha iniziato a manifestare problemi strutturali e di invecchiamento precoce, soprattutto per quanto riguarda i materiali utilizzati. Tra gli anni 70 e 80 del Novecento, sia la brezza marina che i fumi corrosivi delle acciaierie di Cornigliano hanno iniziato a destare preoccupazione in quanto stavano corrodendo i materiali a vista del viadotto. Per questo, lo stesso Morandi aveva ritenuto necessario attuare un piano di manutenzione mirato ad alcune zone particolarmente interessate dal logoramento.
Un altro elemento fondamentale da tenere in considerazione per quando riguarda il deterioramento della struttura è, sicuramente, il traffico. Gli automobilisti che transitavano sul viadotto avevano raggiunto i 25,5 milioni l’anno nel 2009, traffico che, secondo lo studio della Società Autostrade, era quadruplicato rispetto al trentennio precedente e che non avrebbe cessato di aumentare. La quantità di vetture sul ponte, la quale causava interminabili code quotidiane - soprattutto tra il bivio Genova Ovest e la rampa di collegamento con la A7 – avrebbe negli anni sovraccaricato la struttura, rendendola più sensibile alle minime sollecitazioni.
Le continue e sempre più frequenti manutenzioni, diventate quasi quotidiane, gravavano indubbiamente anche sui costi gestionali. Per questo, in molti ritenevano che sarebbe stato meglio demolirlo e sostituirlo con una struttura alternativa, piuttosto che continuare ad investire denaro nella manutenzione giornaliera. Ad esempio, nel 2006, un architetto spagnolo, propose la distruzione e la ricostruzione dell’infrastruttura interamente in acciaio, ma la proposta non venne accolta, soprattutto a causa delle conseguenze che avrebbe comportato la chiusura della tratta per la viabilità.
Per quanto riguarda gli interventi di manutenzione effettuati negli anni, si può notare che negli anni Novanta gli stralli della torre opposta a quella crollata erano stati rinforzati con strutture – dei tiranti – in acciaio. Lo stesso trattamento era stato riservato alla pila 9 (quella crollata ad agosto) e alla 10 ed erano stati stanziati, per questa opera, ben 20 milioni di euro. Il progetto di Autostrade per l’Italia era già stato approvato dal ministero nel 2016 e, a questo proposito, era già stato installato un carroponte per permettere interventi più rapidi ed efficaci sul viadotto.
Critiche e riflessioni
Le critiche non tardarono ad arrivare. Alcuni si erano interrogati sulla precoce obsolescenza delle strutture ed avevano, ovviamente, dedotto che, se dopo solo due decenni dalla costruzione, la situazione dell’infrastruttura era già precaria, qualcosa era andato storto. Tutti sanno che la vita utile del cemento armato è di almeno 50 anni e che, quindi, il ponte Morandi non avrebbe dovuto subire fin da subito manutenzioni così frequenti. Si è quindi giunti alla conclusione che la novità inventata da Morandi era, in realtà, un mero fallimento e che, inoltre, sarebbe stata proprio la sua tecnologia ad accelerare il processo di decadimento.